La questione dell’open source è un po’ più complessa di come è stata descritta anche se un fondo di verità esiste in queste affermazioni. Con il termine “open source” si indicano quei programmi che vengono distribuiti con il codice “aperto” ovvero con il codice sorgente che può essere letto ed eventualmente migliorato da chiunque. Un programma di questo tipo normalmente viene distribuito gratuitamente, ma non è detto che sia per forza così: ci possono essere, infatti, programmi aperti che vengono poi distribuiti a pagamento. Uno degli esempi più classici di programmi “open source” gratuito è Linux che si può installare senza spendere niente oppure Red Hat, che può essere acquistato in CD ROM, ma a prezzi decisamente molto più bassi rispetto ad altri programmi, come Windows. Pertanto è vero che si può scegliere di utilizzare programmi gratuiti di tipo open source e risparmiare sui costi elevati delle licenze di Microsoft ed è anche vero che questi prodotti iniziano ad essere reperibili con una certa facilità sia su internet sia nei negozi che vendono pacchetti, come Red Hat, a prezzi bassissimi, tuttavia chi opta per una tale soluzione deve tenere conto di due fattori importanti: primo, che non tutti i programmi operativi, come Word, possono funzionare su Linux; secondo, che poche persone sanno utilizzarli. Purtroppo, ad oggi, si stima che il risparmio di spesa che si ha con questo tipo di programmi comporta un aumento di spesa nel personale che deve essere istruito su come utilizzarli. A ciò si aggiunga che se un’impresa, per lavoro, deve scambiare un documento scritto con un programma che lavora con Linux con un’altra azienda che ha Word, molto probabilmente quest’ultima non sarà in grado di leggerlo. In sostanza, i programmi open source rappresentano una grande opportunità, ma ancora sono un po’ di “nicchia”, tant’è che sono in corso studi per valutare il loro impatto e trovare soluzioni pratiche che li rendano ampiamente utilizzabili.