Fino al 2001 ed in particolare all’emanazione della legge 18 ottobre 2001 n. 383 che aveva introdotto nell’allora vigente Legge Invenzioni l’art. 24bis, l’invenzione messa a punto dal lavoratore che veniva assunto con funzioni di ricerca spettava, come principio generale, all’impresa che lo aveva assunto e che lo retribuiva mensilmente. Tuttavia al fine di incentivare la ricerca nel nostro Paese e soprattutto al fine di evitare la ben tristemente nota “fuga di cervelli” verso l’estero, è stata introdotta questa nuova regolamentazione dei rapporti dipendente/ente pubblico, confermata anche con l’entrata in vigore del nuovo Codice sulla Proprietà Industriale.
In particolare l’art. 65 (analogamente a quanto previsto dall’art. 24bis L.I.) prevede che i ricercatori siano titolari dei diritti esclusivi derivanti dall’invenzione brevettabile di cui sono autori, mentre le Università o le pubbliche amministrazioni, come ne caso di specie, abbiano semplicemente diritto ad una percentuale sui proventi o sui canoni di sfruttamento dell’invenzione stessa.
La misura di questa percentuale deve essere fissata dall’Università o dalla pubblica amministrazione, in mancanza compete loro il 30% dei proventi o canoni. In ogni caso l’inventore, che può presentare direttamente domanda di brevetto, dandone successivamente comunicazione all’ente presso il quale lavora, ha diritto a non meno del 50% di tali proventi o canoni.
L’unica eccezione a questo assetto di interessi è direttamente prevista dal comma 5 dell’art. 65 Codice Proprietà Industriale per il caso in cui le ricerche vengano finanziate in tutto o in parte da soggetti privati ovvero vengano realizzate nell’ambito di specifici progetti di ricerca finanziati da soggetti pubblici diversi dall’Università o l’ente pubblico di appartenenza del ricercatore.