La scelta sul trasferimento o meno del brevetto dipende principalmente da valutazione economiche e commerciali più che giuridiche, ma in genere chi costituisce una società per sfruttare un brevetto, deve almeno poterne disporre in qualche modo, altrimenti viene meno il suo stesso oggetto sociale. Per fare in modo che la società sia in grado di prendere decisioni sul brevetto, sia nel caso in cui intenda trasferirlo ad altri, sia nel caso in cui voglia produrlo direttamente, occorre in ogni caso il consenso degli inventori.
Questo consenso può essere espresso in due forme diverse. È possibile dare il brevetto in licenza alla società in questione, ovvero sostanzialmente “affittarlo” in modo da lasciare alla società pieni poteri di decisione e riservando agli inventori un compenso in percentuale sugli incassi che saranno fatti a seguito del suo sfruttamento. In questa ipotesi è sufficiente, una volta costituita la società, stipulare un contratto di licenza tra inventori e società, pattuendo espressamente i compensi, che possono anche essere forfetari, di una cifra fissa annuale. In alternativa, cosa che viene fatta nella maggiore parte dei casi, il brevetto viene ceduto alla società che si costituisce, cioè viene venduto e tutti i diritti passano dagli inventori, originari titolari alla società stessa. Questa operazione può essere effettuata stipulando un contratto di cessione, dopo che la società si è costituita ovvero all’atto della sua costituzione.
In pratica nel momento in cui si costituisce la società gli originari titolari conferiscono il brevetto nel patrimonio sociale in sostituzione delle quote in denaro: al brevetto, infatti, verrà attribuito un valore economico che potrà essere fissato liberamente o sulla base della stima di un perito. Il vantaggio ed il limite di questa seconda soluzione è che gli originari titolari/inventori si spogliano di qualsiasi diritto sul brevetto una volta per tutte e conseguentemente anche di tutte le responsabilità che da esso possono derivare.